Tavolo, riforma pubblica amministrazione e partiti
intervengono in ordine: Giovanni B., Silvana G., Guido F., Guido C.,
Alex P..
Il giro è preceduto da un breve richiamo sugli argomenti emersi nel
corso del precedente incontro su riforma amministrativa. In
particolare si ricorda che emersa la necessità di esplorare nuovi
strumenti di valutazione ex-ante ed ex-post per l'operato di politici
e tecnici dentro la P.A.
Giovanni — propone di fare un primo giro di "rodaggio"
con interventi brevi: sottolinea l'esigenza di ridiscutere il senso e
le modalità del cosiddetto finanziamento ai partiti, in particolare,
immaginando di eliminare "il contante" come strumento di
remunerazione (perchè lascia indeterminati i margini entro cui poi
esso verrà utilizzato dai partiti), e piuttosto mettendo a
disposizione altri mezzi: tutte quelle infrastrutture cioè
necessarie e ragionevolmente compatibili con l'esercizio
dell'attività di mandato di un eletto (per esempio: locali per il
ricevimento e studi, attrezzature, spazi per la comunicazione ecc.).
Guido F. — Rincara la dose ricollegandosi a Giovanni: il
finanziamento pubblico al partito si può benissino abolire se il
partito ha di per sé ragion d'essere, se cioè, già di per sé, si
autosostiene, se esprime un’unione di interessi e orientamenti dei
cittadini disposti a finanziarne le attività. D'altronde, se esiste
un movimento politico senza finaziamento non si coglie la ragione del
perché gli altri partiti non debbano fare la stessa cosa. In secondo
luogo c'è da sottolineare come il costo della politica costituisca
anche un costo-opportunità: i soldi che vengono dati per finanziare
le attività dei partiti sono essenzialmente risorse che vengono
sottratte all'erogazione di servizi utili per il cittadino e
più in generale del welfare. Il taglio ai costi degli organi di
rappresentanza politica (in ragione degli eccessi che sono sotto gli
occhi di tutti) in questa congiuntura di crisi economica
rappresenterebbe una priorità. Non da meno anche un taglio
all'editoria che si configura come spesa pubblica collaterale alla
politica.
Guido C. — Propone di tornare ad uno degli aspetti toccati
nell'incontro di maggio. Il problema della pubblica amministrazione
in sé non si riduce solo alla politica, ma riguarda un fenomeno più
generale di condotta e di tracciabilità delle decisioni pubbliche.
Se le cose oggi non vanno è perchè manca un principio di
"responsabilità individuale" applicato in maniera
sistematica. Oggi si parla di strumenti di trasparenza, ma prima
ancora di quello occorre che quando si definisce una procedura, un
piano un programma un investimento sia possibile identificare un nome
e un cognome. Attualmente invece la "responsabilità" non è
tracciabile, il danno, il successo, l'insuccesso dell'intervento
pubblico viene attribuita all'intera organizzazione della P.A., ad un
ente, raramente ad un ufficio, il che vuol dire: tutti e nessuno.
Quando vengono commessi dei danni non è mai possibile individuare
chi sia il "colpevole" o, di converso, "il
meritevole".
Alex — si ricollega a Giovanni. Sottolinea che ciò che ha
dato il via al finanziamento dei partiti è stato in origine proprio
quello di consentire alle forze politiche di finanziarsi "in
natura" e di dotarsi dei mezzi necessari per esplicitare le
proprie funzioni. Ma in ragione degli sviluppi che abbiamo sotto gli
occhi, questo finanziamento, che pure ha una sua ragione dovrebbe
essere corrisposto "con una moneta alternativa", definita
in maniera tale che non se ne possa abusare (proprio per le naturali
limitazioni di tale strumento finanziario, quali la non validità
all'estero, o l'impossibilità di essere spesa ovunque, quindi
definendone l'ambito di utilizzo). Il finanziamento in certa misura
rappresenta un tema delicato e che non può essere trattato in
maniera semplificante. Parlando per esempio di elettorale, il M5S
parte sicuramente in svantaggio, perchè non dispone dei mezzi per
competere con le formazioni storiche già presenti sul panorama
elettorale. (In questo senso l'idea di finanziamento avrebbe
paradossalmente una giustificazione, perchè consentirebbe condizioni
di pari opportunità in un confronto elettorale!). L'altro aspetto,
invece, ritornando sempre sulla questione elettorale riguarda invece
la capacità di presa del M5S sui cittadini: in questa fase il
movimento è sottoposto a due spinte contradditorie, perché da un
lato deve agire in assenza di risorse (al di fuori del gioco
dei finanziamenti), e dall'altro in qualche modo riuscire a mostrare
e dare prova agli altri, e di far raggiungere il messaggio di essere
composto da persone meritevoli e integre nella gestione del denaro
pubblico.
Giovanni — Sottolinea a questo proposito come la politica
debba essere intesa come missione. Nessuno obbliga nessuno a
fare il politico, nessuno è obbligato a rimanerlo tale per lungo
tempo. In secondo luogo, la politica in quanto servizio di
rappresentanza e di azione di portavoce non deve essere remunerato.
La politica (intesa nell’accezione di organigrammi di partito)
quindi non deve ricevere una remunerazione in denaro ma al più
in termini di mezzi. In terzo luogo, in linea di principio non
ha senso parlare di un’attività per la quale si possa esigere un
rimborso. Questa, può apparire una posizione estrema, ma
l'esperienza purtroppo ci insegna che "a chi maneggia il denaro
degli altri, po' di soldi rischiano di rimanere attaccati alla
lunga." In questo senso il M5S è fortemente esposto, perchè da
un lato deve essere doppiamente pulito. Non solo deve
assicurarsi che chi vi prende parte sia di per sé pulito, ma che
segua anche un codice di comportamento chiaro. (Perché l'assenza di
risorse nel quale si muove il M5S, non lo renda più esposto alle
"occasioni" che derivano dalla gestione del denaro
pubblico).
Guido F. — Concorda. Aggiunge solo che occorre prendere la
"palla al balzo", sull’attuale situazione di spaesamento
in cui si trova l’elettorato, e lavorare su un terreno incolto
(cioè le persone che partecipano al movimento), un terreno che
ancora non è stato influenzato e contaminato da opportunismi e
secondi fini.
Guido C. — Osserva con un certo rammarico come la
discussione ricada inevitabilmente sulle potenzialità e sulle attese
per il M5S: temi rispecchiano l'immaginario imposto dai media su una
prossima vittoria del M5S. Tuttavia, il fatto che la nostra squadra
possa vincere è una ragione sufficiente per lasciare da parte la
discussione sulle proposte del movimento? A confronto con le
discussioni del Meetup di maggio, il dibattito pare in parte a G.
visibilmente compromesso, contaminato dallo stesso linguaggio della
vituperata "politica dei sondaggi". Le attese e i sogni sul
Movimento sono solo il frutto di numeri statistiche e sondaggi. Ora
però il punto è che il movimento potrà pure prendere molti voti
oppure rimanere forza di opposizione, ma in entrambi i casi quello di
cui c'è bisogno è un disegno paziente e attento di quello che può
essere il mandato dei candidati portavoce. Di fatti, è meglio avere
un "ideale candidato onesto" lasciato libero di fargli fare
quel che gli pare? Oppure è meglio che a un portavoce venga
consegnato un mandato chiaro contenente obiettivi e progetti preciso?
Ecco, in questo senso, è necessario dimenticare la questione
elettorale e l'idea del "se vinciamo": se una persona pensa
di fare una cosa giusta, la fa senza preoccuparsi dell'approvazione
degli altri e di piacere. Un suggerimento e un invito quindi: quello
di tornare al merito delle questioni, concentrare la discussione del
meetup su quello che si deve fare (programma), indipendentemente
dagli scenari che ci profilano i sondaggi e statistiche elettorali.
Alex — Si rifà a quel che suggerisce Guido C. E propone di
ripartire sulla questione P.A. richiamando l'attenzione sul concetto
di trasparenza, di visibilità e accessibilità da parte del
cittadino alle scelte nella pubblica amministrazione.
L'amministrazione pubblica deve essere infatti trasparente nei
confronti dei cittadini. Internet in questo senso costituisce lo
strumento di informazione ideale, da applicare non solo per
descrivere e spiegare ciò che l'amministrazione fa (i servizi
per intenderci), ma anche per mettere in chiaro quali sono gli
interessi dei nostri amministratori (i loro stipendi, le loro
cariche e responsabilità, la loro attuale occupazione). Esiste poi
un'altra criticità che riguarda anche la trasmissione dei
documenti in uso, cioè tutta quella documentazione che per varia
ragione rappresenta materiale preparatorio, istruttorio, o consuntivo
delle varie decisioni che si prendono: essa deve essere quindi resa
disponibile in tempi e secondo criteri consoni a quello che deve
essere il suo uso. Un esempio concreto: la documentazione nei
consigli di zona, la documentazione relativa alle commissioni,
dovrebbe essere comuncata in anticipo, non solo ai cittadini che di
per sé ne hanno tutto il diritto, ma anche ai consiglieri, che
paradossalmente oggi arrivano senza nessun dossier o istruttoria agli
appuntamenti istituzionali. C'è poi il problema di riferire e
rendere pubblico quello che succede al momento della decisione:
per esempio le riprese video nei consigli di zona non sono ammesse
ancora oggi, mentre in consiglio comunale questo è possibile. Il
concetto di trasparenza infine si applica agli appalti, cioè
quando l'amministrazione assegna a terzi una certa fornitura. A
questo si può ricollegare il fenomeno delle delibere pre-costituite
in consiglio, e soprattutto certi Ordini del Giorno che di fatto
atterrano dall'esterno e che non sono il risultato di una discussione
pubblica degli organi collegiali..
Giovanni — Suggerisce un approccio più radicale. Oltre a un
ripensamento della sfera quotidiana della P.A. in chiave di
trasparenza, occorrerebbe ridisegnare l'architettura stessa della
P,A. Un ridisegno drastico di strutture e livelli di governo,
mettendo in conto anche sacrifici: di enti che oggi
costituiscono lo scheletro istituzionale italiano, come province e
regioni, oppure l'eliminazione dove necessario dei consigli di zona e
società partecipate. La provocazione deriva da un dato di fatto: che
in Italia i costi dell'amministrazione derivano da una
sovrapposizione di livelli decisionali. Questa considerazione che
vale per i livelli di governo trova il suo analogo anche per la
gerarchia delle cariche dello stato. (e questo dovrebbe partire dal
Presidente della Repubblica). Per riprendere un punto precedente, a
ogni singolo livello occorrerebbe riconoscere responsabilità
precise. Questo però non significa solo che uno non interferisce sul
lavoro degli altri, ma che se un funzionario o un decisore non svolge
le sue mansioni (vale a questo riguardo il caso degli sportelli
dell'anagrafe di un Comune) la sua responsabilità ricada
immediatamente e in modo inequivocabile su chi gli sta sopra. Alla
complementarietà, occorrerebbe quindi in definitiva un sistema di
sanzione e di controllo. Infine occore anche un sistema di
salvaguardia delle regole di controllo. Il caso Polverini ci insegna
che il politico, o chi per esso, può modificare molto facilmente i
regolamenti e gli statuti degli enti pubblici. Sarebbe a questo
riguardo utile fissare delle soglie di maggioranza stringenti (per
esempio maggioranza al 90%) perché possano essere modificati i
regolamenti, secondo criteri non dico di unanimità, ma quasi.
Silvana — si riallaccia al discorso di Alex. E in
particolare all'esperienza diretta con le prassi del Consiglio di
Zona. Esiste un problema di trasparenza che investe soprattutto i
modi e le tempistiche con cui vengono date le comunicazioni
del Consiglio di Zona. Questo si applica sia per quello che potremmo
definire le comunicazioni ex-ante, cioè le convocazioni del
consiglio, le informative e i dossier istruttori, utili a prendere
delle decisioni, e sia le comunicazioni ex-post, cioè le delibere,
le determinazioni, i verbali. In effetti ottenere le informazioni
sulle delibere delle commissioni in CZ appare particolarmente
problematica. A meno di non andare in sede e di andarle a cercare in
bacheca o richiederle, è difficile poterne prendere visione.
Guido F. — Non si sente di aggiungere altro, ma si dice
d'accordo con quanto detto negli ultimi due interventi precedenti.
Guido C. — Nota che, nonostante il generico consenso
dichiarato dai partecipanti, ci siano forti divergenze di posizioni
nel merito: per esempio alcuni dicono che i CdZ sono strutture forse
inutili e da abolire, altri invece, attraverso le proprie critiche,
ne vorrebbero rivalutare il ruolo. Pare emergere un fraintendimento
di fondo. Occorre infatti prima di tutto intendersi su cosa voglia
dire progettare la pubblica amministrazione. Ora, si possono
individuare almeno tre “livelli” che corrispondono a tre
funzioni (o nature) dell'organizzazione pubblica. 1) La prima natura
dell'amministrazione è quella dell'agenzia: una
struttura/ente/soggetto, ufficio che eroga un servizio, e che si
occupa di produrre direttamente o di assicurare direttamente qualcosa
per i cittadini. Rispetto ad essa valgono i già noti criteri di
competenza, efficienza, razionalizzazione, economie di scala ecc...
2) la seconda è di arena civica, (quello che specialmente il
M5S sta cercando di far rivivere), un comune, una provincia, una
regione sono anche il luogo in cui vengono ricomposti punti di vista
e interessi dei singoli cittadini e si cerca di "disegnare"
quello che è un interesse collettivo. 3) la terza è di authority:
è quella cioé di dare e garantire il rispetto delle regole
(urbanistiche, codice della strada, norme sul traffico, norme civili
ecc.).
Ecco, questi temi potrebbero essere proposti per ordinare un'agenda
di lavoro e proposte. Per esempio: le scale di governo hanno senso
solo per alcune di queste tre dimensioni. Idealmente, se voglio fare
servizi, un piccolo comune è controproducente, e la gestione
efficiente mi richiederebbe forme di cooperazione inter-municipale.
Per quanto riguarda invece l'arena civica, verrebbe da mettere in
dubbio la capacità di contatto con la realtà di un consiglio
comunale di una grande città metropolitana, e di favorirne invece la
sostituzione con tanti consigli di zona. O ancora, per le regole
urbanistiche verrebbe da chiedersi perchè mentre in un comune
costruire una cosa in un certo modo potrebbe apparire un crimine,
mentre in quello confinante la stessa cosa è premiata. Magari una
provincia ha ragion d'essere come struttura esclusivamente tecnica e
non politica. Insomma, si potrebbe redigere una specie di
"checklist" (vd. sotto) per ogni livello di governo: ad
esempio, una Regione, serve che faccia regole/servizi/politica?
Cosa
deve fare?
|
Agenzia
(fare servizi)
|
Arena
(fare politica)
|
Autorità
(fare regole)
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Stato
(Ministeri)
|
Si/no?
|
Si/no?
|
Si/no?
|
Regione
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Si/no?
|
Si/no?
|
Si/no?
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Provincia
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Si/no?
|
Si/no?
|
Si/no?
|
Comune
|
Si/no?
|
Si/no?
|
Si/no?
|
Alex — in reazione a questa griglia, si sofferma su quale
possa essere un criterio guida di scelta. Evidenzia quello che
potrebbe essere definito il nocciolo della questione: e si domanda se
sia possibile ridefinire la P.A. secondo l'impostazione del M5S: se
cioè i cittadini possano ridefinire non solo la "politica"
intesa come prassi con cui il cittadino riasserisce che “cosa è
interesse pubblico”, ma anche come programmazione dei servizi.
Se si guarda all'esperienza recente, anche quella diretta del
consigliere Calise al Comune di Milano, non si può certo affermare
che la pubblica amministrazione fornisca dei servizi ai cittadini. La
realtà dà più l'idea che la P.A. fornisca i servizi alla
politica. La battuta può essere colta in due sensi: da un lato
il servizio alla politica, significa che il servizio pubblico è
usato opportunisticamente come strumento per ottenere il consenso su
parti selezionate di cittadinanza; dall'altro il servizio alla
politica si esprime come campo di lotta e spartizione. Il caso di
Milano evidenzia la solita lotta per la spartizione di uffici,
cariche e posizioni, e della filiera dirigenziale delle agenzie e
strutture tecniche tra assessorati, oppure tra forze politiche
consiliari, sia di maggioranza che di opposizione in questo caso.
Allo stesso M.Calise era stato proposto, per esempio, di dare
suggerimenti su persone da collocare nelle partecipate e controllate
del comune. A questa pratica, non si sono prestati nè Mattia, nè il
MoVimento milanese tutto. Su queste premesse, si pone quindi una
domanda: come rivoluzionare i servizi P.A. a partire dalle domande
dei cittadini? In questo senso, è possibile avanzare uno spunto,
l'introduzione del metodo dell'elezione diretta, della dirigenza
nelle partecipate o dei rappresentanti del comune presso gli organi
collegiali di fondazioni associazioni ed altri enti (la nomina di un
funzionario per elezione diretta non è nuova, già certe figure come
l'attorney negli Stati Uniti, l'equivalente del nostro procuratore,
vengono scelte per elezione).
Giovanni — Evidenzia come la situazione italiana, sia in
termini di competenze che di condizioni di concorrenza tra diverse
parti dello stato è sensibilmente peggiorata a seguito della riforma
del Titolo V della costituzione. Se c’è da fissare una mèta,
quella dovrebbe essere: creare una struttura tecnica solida e
organizzata e che sta in piedi indipendentemente dagli
avvicendamenti della politica e dalle interferenze e dagli indirizzi
contraddittori (e spesso opportunistici) che può dare. Quella che
noi chiamiamo politica avrebbe invece il dovere di dare e individuare
regole — e deve esserci naturalmente qualcuno che le faccia
rispettare. Il primo passo, in questo senso, deve essere all’insegna
dei tagli: un rilievo attento di come le competenze e le funzioni si
distribuiscono/si sovrappongono/interferiscono all’interno della
struttura dello stato. In una battuta tagliare i doppioni. In
secondo luogo occorre uniformare le regole, tra comune e comune tra
regioni e regioni, che presentano condizioni di trattamento, livelli
di discrezionalità nell’offerta dei servizi completamente diversi
gli uni dagli altri. Il problema è quindi eliminare le
sovrastrutture e le componenti ridondanti: avere l’onestà di
ammettere che uno Stato di queste dimensioni non possiamo
permettercelo, e accertare quali sono le parti che siano in
sovrappiù. I livelli di governo da questo punto di vista appaiono
l’aspetto più critico da toccare: perché l’ente (dalla regione
al comune fino all’azienda partecipata) è allo stesso tempo un
luogo in cui ci sono cariche e figure da nominare: e finchè ci sarà
una politica di professione, essa avrà tutto l’interesse a non
promuovere tagli del genere, perché vorrebbe dire togliersi posti di
lavoro. Non è un caso che il tema delle società partecipate non
trovi facile soluzione: le municipalizzate, da strutture che pure
avevano una loro ragione d’essere si sono trasformate nel luogo in
cui parcheggiare “i cosiddetti trombati”. Due spunti quindi:
abolire province e regioni, e garantire l’integrità dei
decisori pubblici attraverso strumenti di trasparenza — di
controllo trasparente, e di selezione trasparente.
Guido F. (rinuncia al suo turno)
Guido C. — Si dichiara in parte scoraggiato, non solo dalla
politica, ma anche dalla parte tecnica della pubblica
amministrazione. Richiama la propria esperienza in politecnico come
tutor degli studenti stranieri, che gli ha permesso di conoscere
l’universo burocratico, degli “amministrativi”. In particolare
gli è stato raccontato come “vengono progettate le procedure”. A
differenza di quello che ci si può immaginare, che un servizio nasce
in base alla ricognizione delle domande più frequenti dell’utenza,
il punto di partenza degli uffici è il numero dei dipendenti: se ci
sono 100 funzionari, che per contratto devono lavorare 40 ore a
settimana, qualsiasi sia il prodotto o il permesso da rilasciare,
occorrerà disegnare una procedura che tiene occupate le persone per
4000 ore/lavoro. Questo esempio ci aiuta a sfatare un mito di una
politica cattiva e di una tecnica buona. Il che è più grave ancora,
perché sulla seconda non vengono esercitate forme di controllo
(nemmeno quelle pur blande che colpiscono la politica). Domanda:
com’è possibile allora ricollegare strumenti di controllo della
cittadinanza a quello che succede nelle P.A.? Tre provocazioni/spunti
al riguardo:
1— La multiutility di Amsterdam invia ogni anno i cittadini un
report via email sull’operato dell’azienda e un
questionario, in cui si riportano le alternative linee strategiche
elaborate da manager tecnici. E si chiede al cittadino, 1) volete un
servizio di qualità maggiore a prescindere dal costo? 2) Volete che
le tariffe rimangano invariate a costo anche di sacrificare la
qualita, 3) volete che i dividendi aziendali vengano reimpiegati in
un progetto pilota per nuovo servizio ecc…? I voti ricevuti in
risposta diventano vincolanti per il management aziendale.
2— Urbanistica in certi comuni svizzeri: se l’amministrazione
deve fare un investimento, un’opera pubblica, per esempio una
rotatoria, si indicono una serie di assemblee di cittadini o di
referenda locali. Gli incontri servono ad accertare e far capire alla
cittadinanza margini di fattibilità e alternative, e soprattutto
verificare se c’è consenso o meno sull’opera.
3— Ma come promuovere il cambiamento amministrativo in Italia in
senso di apertura al cittadino? Le strade ammesse sono tre: la più
pesante è quello della riforma legislativa (un progetto comunque che
potrebbe essere sostenuto dal M5S anche come forza di opposizione),
modificare statuti e regolamenti interni dei vari enti, caso per
caso, oppure, utilizzare la leva dei portavoce per alimentare di
nuovi contenuti, i processi di pianificazione strategica all’interno
dei Comuni.