lunedì 24 settembre 2012

Piola: incontro del 24 settembre 2012


Tavolo, riforma pubblica amministrazione e partiti
intervengono in ordine: Giovanni B., Silvana G., Guido F., Guido C., Alex P..

Il giro è preceduto da un breve richiamo sugli argomenti emersi nel corso del precedente incontro su riforma amministrativa. In particolare si ricorda che emersa la necessità di esplorare nuovi strumenti di valutazione ex-ante ed ex-post per l'operato di politici e tecnici dentro la P.A.
Giovanni — propone di fare un primo giro di "rodaggio" con interventi brevi: sottolinea l'esigenza di ridiscutere il senso e le modalità del cosiddetto finanziamento ai partiti, in particolare, immaginando di eliminare "il contante" come strumento di remunerazione (perchè lascia indeterminati i margini entro cui poi esso verrà utilizzato dai partiti), e piuttosto mettendo a disposizione altri mezzi: tutte quelle infrastrutture cioè necessarie e ragionevolmente compatibili con l'esercizio dell'attività di mandato di un eletto (per esempio: locali per il ricevimento e studi, attrezzature, spazi per la comunicazione ecc.).
Guido F. — Rincara la dose ricollegandosi a Giovanni: il finanziamento pubblico al partito si può benissino abolire se il partito ha di per sé ragion d'essere, se cioè, già di per sé, si autosostiene, se esprime un’unione di interessi e orientamenti dei cittadini disposti a finanziarne le attività. D'altronde, se esiste un movimento politico senza finaziamento non si coglie la ragione del perché gli altri partiti non debbano fare la stessa cosa. In secondo luogo c'è da sottolineare come il costo della politica costituisca anche un costo-opportunità: i soldi che vengono dati per finanziare le attività dei partiti sono essenzialmente risorse che vengono sottratte all'erogazione di servizi utili per il cittadino e più in generale del welfare. Il taglio ai costi degli organi di rappresentanza politica (in ragione degli eccessi che sono sotto gli occhi di tutti) in questa congiuntura di crisi economica rappresenterebbe una priorità. Non da meno anche un taglio all'editoria che si configura come spesa pubblica collaterale alla politica.
Guido C. — Propone di tornare ad uno degli aspetti toccati nell'incontro di maggio. Il problema della pubblica amministrazione in sé non si riduce solo alla politica, ma riguarda un fenomeno più generale di condotta e di tracciabilità delle decisioni pubbliche. Se le cose oggi non vanno è perchè manca un principio di "responsabilità individuale" applicato in maniera sistematica. Oggi si parla di strumenti di trasparenza, ma prima ancora di quello occorre che quando si definisce una procedura, un piano un programma un investimento sia possibile identificare un nome e un cognome. Attualmente invece la "responsabilità" non è tracciabile, il danno, il successo, l'insuccesso dell'intervento pubblico viene attribuita all'intera organizzazione della P.A., ad un ente, raramente ad un ufficio, il che vuol dire: tutti e nessuno. Quando vengono commessi dei danni non è mai possibile individuare chi sia il "colpevole" o, di converso, "il meritevole".
Alex — si ricollega a Giovanni. Sottolinea che ciò che ha dato il via al finanziamento dei partiti è stato in origine proprio quello di consentire alle forze politiche di finanziarsi "in natura" e di dotarsi dei mezzi necessari per esplicitare le proprie funzioni. Ma in ragione degli sviluppi che abbiamo sotto gli occhi, questo finanziamento, che pure ha una sua ragione dovrebbe essere corrisposto "con una moneta alternativa", definita in maniera tale che non se ne possa abusare (proprio per le naturali limitazioni di tale strumento finanziario, quali la non validità all'estero, o l'impossibilità di essere spesa ovunque, quindi definendone l'ambito di utilizzo). Il finanziamento in certa misura rappresenta un tema delicato e che non può essere trattato in maniera semplificante. Parlando per esempio di elettorale, il M5S parte sicuramente in svantaggio, perchè non dispone dei mezzi per competere con le formazioni storiche già presenti sul panorama elettorale. (In questo senso l'idea di finanziamento avrebbe paradossalmente una giustificazione, perchè consentirebbe condizioni di pari opportunità in un confronto elettorale!). L'altro aspetto, invece, ritornando sempre sulla questione elettorale riguarda invece la capacità di presa del M5S sui cittadini: in questa fase il movimento è sottoposto a due spinte contradditorie, perché da un lato deve agire in assenza di risorse (al di fuori del gioco dei finanziamenti), e dall'altro in qualche modo riuscire a mostrare e dare prova agli altri, e di far raggiungere il messaggio di essere composto da persone meritevoli e integre nella gestione del denaro pubblico.
Giovanni — Sottolinea a questo proposito come la politica debba essere intesa come missione. Nessuno obbliga nessuno a fare il politico, nessuno è obbligato a rimanerlo tale per lungo tempo. In secondo luogo, la politica in quanto servizio di rappresentanza e di azione di portavoce non deve essere remunerato. La politica (intesa nell’accezione di organigrammi di partito) quindi non deve ricevere una remunerazione in denaro ma al più in termini di mezzi. In terzo luogo, in linea di principio non ha senso parlare di un’attività per la quale si possa esigere un rimborso. Questa, può apparire una posizione estrema, ma l'esperienza purtroppo ci insegna che "a chi maneggia il denaro degli altri, po' di soldi rischiano di rimanere attaccati alla lunga." In questo senso il M5S è fortemente esposto, perchè da un lato deve essere doppiamente pulito. Non solo deve assicurarsi che chi vi prende parte sia di per sé pulito, ma che segua anche un codice di comportamento chiaro. (Perché l'assenza di risorse nel quale si muove il M5S, non lo renda più esposto alle "occasioni" che derivano dalla gestione del denaro pubblico).
Guido F. — Concorda. Aggiunge solo che occorre prendere la "palla al balzo", sull’attuale situazione di spaesamento in cui si trova l’elettorato, e lavorare su un terreno incolto (cioè le persone che partecipano al movimento), un terreno che ancora non è stato influenzato e contaminato da opportunismi e secondi fini.
Guido C. — Osserva con un certo rammarico come la discussione ricada inevitabilmente sulle potenzialità e sulle attese per il M5S: temi rispecchiano l'immaginario imposto dai media su una prossima vittoria del M5S. Tuttavia, il fatto che la nostra squadra possa vincere è una ragione sufficiente per lasciare da parte la discussione sulle proposte del movimento? A confronto con le discussioni del Meetup di maggio, il dibattito pare in parte a G. visibilmente compromesso, contaminato dallo stesso linguaggio della vituperata "politica dei sondaggi". Le attese e i sogni sul Movimento sono solo il frutto di numeri statistiche e sondaggi. Ora però il punto è che il movimento potrà pure prendere molti voti oppure rimanere forza di opposizione, ma in entrambi i casi quello di cui c'è bisogno è un disegno paziente e attento di quello che può essere il mandato dei candidati portavoce. Di fatti, è meglio avere un "ideale candidato onesto" lasciato libero di fargli fare quel che gli pare? Oppure è meglio che a un portavoce venga consegnato un mandato chiaro contenente obiettivi e progetti preciso? Ecco, in questo senso, è necessario dimenticare la questione elettorale e l'idea del "se vinciamo": se una persona pensa di fare una cosa giusta, la fa senza preoccuparsi dell'approvazione degli altri e di piacere. Un suggerimento e un invito quindi: quello di tornare al merito delle questioni, concentrare la discussione del meetup su quello che si deve fare (programma), indipendentemente dagli scenari che ci profilano i sondaggi e statistiche elettorali.
Alex — Si rifà a quel che suggerisce Guido C. E propone di ripartire sulla questione P.A. richiamando l'attenzione sul concetto di trasparenza, di visibilità e accessibilità da parte del cittadino alle scelte nella pubblica amministrazione. L'amministrazione pubblica deve essere infatti trasparente nei confronti dei cittadini. Internet in questo senso costituisce lo strumento di informazione ideale, da applicare non solo per descrivere e spiegare ciò che l'amministrazione fa (i servizi per intenderci), ma anche per mettere in chiaro quali sono gli interessi dei nostri amministratori (i loro stipendi, le loro cariche e responsabilità, la loro attuale occupazione). Esiste poi un'altra criticità che riguarda anche la trasmissione dei documenti in uso, cioè tutta quella documentazione che per varia ragione rappresenta materiale preparatorio, istruttorio, o consuntivo delle varie decisioni che si prendono: essa deve essere quindi resa disponibile in tempi e secondo criteri consoni a quello che deve essere il suo uso. Un esempio concreto: la documentazione nei consigli di zona, la documentazione relativa alle commissioni, dovrebbe essere comuncata in anticipo, non solo ai cittadini che di per sé ne hanno tutto il diritto, ma anche ai consiglieri, che paradossalmente oggi arrivano senza nessun dossier o istruttoria agli appuntamenti istituzionali. C'è poi il problema di riferire e rendere pubblico quello che succede al momento della decisione: per esempio le riprese video nei consigli di zona non sono ammesse ancora oggi, mentre in consiglio comunale questo è possibile. Il concetto di trasparenza infine si applica agli appalti, cioè quando l'amministrazione assegna a terzi una certa fornitura. A questo si può ricollegare il fenomeno delle delibere pre-costituite in consiglio, e soprattutto certi Ordini del Giorno che di fatto atterrano dall'esterno e che non sono il risultato di una discussione pubblica degli organi collegiali..
Giovanni — Suggerisce un approccio più radicale. Oltre a un ripensamento della sfera quotidiana della P.A. in chiave di trasparenza, occorrerebbe ridisegnare l'architettura stessa della P,A. Un ridisegno drastico di strutture e livelli di governo, mettendo in conto anche sacrifici: di enti che oggi costituiscono lo scheletro istituzionale italiano, come province e regioni, oppure l'eliminazione dove necessario dei consigli di zona e società partecipate. La provocazione deriva da un dato di fatto: che in Italia i costi dell'amministrazione derivano da una sovrapposizione di livelli decisionali. Questa considerazione che vale per i livelli di governo trova il suo analogo anche per la gerarchia delle cariche dello stato. (e questo dovrebbe partire dal Presidente della Repubblica). Per riprendere un punto precedente, a ogni singolo livello occorrerebbe riconoscere responsabilità precise. Questo però non significa solo che uno non interferisce sul lavoro degli altri, ma che se un funzionario o un decisore non svolge le sue mansioni (vale a questo riguardo il caso degli sportelli dell'anagrafe di un Comune) la sua responsabilità ricada immediatamente e in modo inequivocabile su chi gli sta sopra. Alla complementarietà, occorrerebbe quindi in definitiva un sistema di sanzione e di controllo. Infine occore anche un sistema di salvaguardia delle regole di controllo. Il caso Polverini ci insegna che il politico, o chi per esso, può modificare molto facilmente i regolamenti e gli statuti degli enti pubblici. Sarebbe a questo riguardo utile fissare delle soglie di maggioranza stringenti (per esempio maggioranza al 90%) perché possano essere modificati i regolamenti, secondo criteri non dico di unanimità, ma quasi.
Silvana — si riallaccia al discorso di Alex. E in particolare all'esperienza diretta con le prassi del Consiglio di Zona. Esiste un problema di trasparenza che investe soprattutto i modi e le tempistiche con cui vengono date le comunicazioni del Consiglio di Zona. Questo si applica sia per quello che potremmo definire le comunicazioni ex-ante, cioè le convocazioni del consiglio, le informative e i dossier istruttori, utili a prendere delle decisioni, e sia le comunicazioni ex-post, cioè le delibere, le determinazioni, i verbali. In effetti ottenere le informazioni sulle delibere delle commissioni in CZ appare particolarmente problematica. A meno di non andare in sede e di andarle a cercare in bacheca o richiederle, è difficile poterne prendere visione.
Guido F. — Non si sente di aggiungere altro, ma si dice d'accordo con quanto detto negli ultimi due interventi precedenti.
Guido C. — Nota che, nonostante il generico consenso dichiarato dai partecipanti, ci siano forti divergenze di posizioni nel merito: per esempio alcuni dicono che i CdZ sono strutture forse inutili e da abolire, altri invece, attraverso le proprie critiche, ne vorrebbero rivalutare il ruolo. Pare emergere un fraintendimento di fondo. Occorre infatti prima di tutto intendersi su cosa voglia dire progettare la pubblica amministrazione. Ora, si possono individuare almeno tre “livelli” che corrispondono a tre funzioni (o nature) dell'organizzazione pubblica. 1) La prima natura dell'amministrazione è quella dell'agenzia: una struttura/ente/soggetto, ufficio che eroga un servizio, e che si occupa di produrre direttamente o di assicurare direttamente qualcosa per i cittadini. Rispetto ad essa valgono i già noti criteri di competenza, efficienza, razionalizzazione, economie di scala ecc... 2) la seconda è di arena civica, (quello che specialmente il M5S sta cercando di far rivivere), un comune, una provincia, una regione sono anche il luogo in cui vengono ricomposti punti di vista e interessi dei singoli cittadini e si cerca di "disegnare" quello che è un interesse collettivo. 3) la terza è di authority: è quella cioé di dare e garantire il rispetto delle regole (urbanistiche, codice della strada, norme sul traffico, norme civili ecc.).
Ecco, questi temi potrebbero essere proposti per ordinare un'agenda di lavoro e proposte. Per esempio: le scale di governo hanno senso solo per alcune di queste tre dimensioni. Idealmente, se voglio fare servizi, un piccolo comune è controproducente, e la gestione efficiente mi richiederebbe forme di cooperazione inter-municipale. Per quanto riguarda invece l'arena civica, verrebbe da mettere in dubbio la capacità di contatto con la realtà di un consiglio comunale di una grande città metropolitana, e di favorirne invece la sostituzione con tanti consigli di zona. O ancora, per le regole urbanistiche verrebbe da chiedersi perchè mentre in un comune costruire una cosa in un certo modo potrebbe apparire un crimine, mentre in quello confinante la stessa cosa è premiata. Magari una provincia ha ragion d'essere come struttura esclusivamente tecnica e non politica. Insomma, si potrebbe redigere una specie di "checklist" (vd. sotto) per ogni livello di governo: ad esempio, una Regione, serve che faccia regole/servizi/politica?
Cosa deve fare?
Agenzia (fare servizi)
Arena (fare politica)
Autorità (fare regole)
Stato (Ministeri)
Si/no?
Si/no?
Si/no?
Regione
Si/no?
Si/no?
Si/no?
Provincia
Si/no?
Si/no?
Si/no?
Comune
Si/no?
Si/no?
Si/no?
Alex — in reazione a questa griglia, si sofferma su quale possa essere un criterio guida di scelta. Evidenzia quello che potrebbe essere definito il nocciolo della questione: e si domanda se sia possibile ridefinire la P.A. secondo l'impostazione del M5S: se cioè i cittadini possano ridefinire non solo la "politica" intesa come prassi con cui il cittadino riasserisce che “cosa è interesse pubblico”, ma anche come programmazione dei servizi. Se si guarda all'esperienza recente, anche quella diretta del consigliere Calise al Comune di Milano, non si può certo affermare che la pubblica amministrazione fornisca dei servizi ai cittadini. La realtà dà più l'idea che la P.A. fornisca i servizi alla politica. La battuta può essere colta in due sensi: da un lato il servizio alla politica, significa che il servizio pubblico è usato opportunisticamente come strumento per ottenere il consenso su parti selezionate di cittadinanza; dall'altro il servizio alla politica si esprime come campo di lotta e spartizione. Il caso di Milano evidenzia la solita lotta per la spartizione di uffici, cariche e posizioni, e della filiera dirigenziale delle agenzie e strutture tecniche tra assessorati, oppure tra forze politiche consiliari, sia di maggioranza che di opposizione in questo caso. Allo stesso M.Calise era stato proposto, per esempio, di dare suggerimenti su persone da collocare nelle partecipate e controllate del comune. A questa pratica, non si sono prestati nè Mattia, nè il MoVimento milanese tutto. Su queste premesse, si pone quindi una domanda: come rivoluzionare i servizi P.A. a partire dalle domande dei cittadini? In questo senso, è possibile avanzare uno spunto, l'introduzione del metodo dell'elezione diretta, della dirigenza nelle partecipate o dei rappresentanti del comune presso gli organi collegiali di fondazioni associazioni ed altri enti (la nomina di un funzionario per elezione diretta non è nuova, già certe figure come l'attorney negli Stati Uniti, l'equivalente del nostro procuratore, vengono scelte per elezione).
Giovanni — Evidenzia come la situazione italiana, sia in termini di competenze che di condizioni di concorrenza tra diverse parti dello stato è sensibilmente peggiorata a seguito della riforma del Titolo V della costituzione. Se c’è da fissare una mèta, quella dovrebbe essere: creare una struttura tecnica solida e organizzata e che sta in piedi indipendentemente dagli avvicendamenti della politica e dalle interferenze e dagli indirizzi contraddittori (e spesso opportunistici) che può dare. Quella che noi chiamiamo politica avrebbe invece il dovere di dare e individuare regole — e deve esserci naturalmente qualcuno che le faccia rispettare. Il primo passo, in questo senso, deve essere all’insegna dei tagli: un rilievo attento di come le competenze e le funzioni si distribuiscono/si sovrappongono/interferiscono all’interno della struttura dello stato. In una battuta tagliare i doppioni. In secondo luogo occorre uniformare le regole, tra comune e comune tra regioni e regioni, che presentano condizioni di trattamento, livelli di discrezionalità nell’offerta dei servizi completamente diversi gli uni dagli altri. Il problema è quindi eliminare le sovrastrutture e le componenti ridondanti: avere l’onestà di ammettere che uno Stato di queste dimensioni non possiamo permettercelo, e accertare quali sono le parti che siano in sovrappiù. I livelli di governo da questo punto di vista appaiono l’aspetto più critico da toccare: perché l’ente (dalla regione al comune fino all’azienda partecipata) è allo stesso tempo un luogo in cui ci sono cariche e figure da nominare: e finchè ci sarà una politica di professione, essa avrà tutto l’interesse a non promuovere tagli del genere, perché vorrebbe dire togliersi posti di lavoro. Non è un caso che il tema delle società partecipate non trovi facile soluzione: le municipalizzate, da strutture che pure avevano una loro ragione d’essere si sono trasformate nel luogo in cui parcheggiare “i cosiddetti trombati”. Due spunti quindi: abolire province e regioni, e garantire l’integrità dei decisori pubblici attraverso strumenti di trasparenza — di controllo trasparente, e di selezione trasparente.
Guido F. (rinuncia al suo turno)
Guido C. — Si dichiara in parte scoraggiato, non solo dalla politica, ma anche dalla parte tecnica della pubblica amministrazione. Richiama la propria esperienza in politecnico come tutor degli studenti stranieri, che gli ha permesso di conoscere l’universo burocratico, degli “amministrativi”. In particolare gli è stato raccontato come “vengono progettate le procedure”. A differenza di quello che ci si può immaginare, che un servizio nasce in base alla ricognizione delle domande più frequenti dell’utenza, il punto di partenza degli uffici è il numero dei dipendenti: se ci sono 100 funzionari, che per contratto devono lavorare 40 ore a settimana, qualsiasi sia il prodotto o il permesso da rilasciare, occorrerà disegnare una procedura che tiene occupate le persone per 4000 ore/lavoro. Questo esempio ci aiuta a sfatare un mito di una politica cattiva e di una tecnica buona. Il che è più grave ancora, perché sulla seconda non vengono esercitate forme di controllo (nemmeno quelle pur blande che colpiscono la politica). Domanda: com’è possibile allora ricollegare strumenti di controllo della cittadinanza a quello che succede nelle P.A.? Tre provocazioni/spunti al riguardo:
1— La multiutility di Amsterdam invia ogni anno i cittadini un report via email sull’operato dell’azienda e un questionario, in cui si riportano le alternative linee strategiche elaborate da manager tecnici. E si chiede al cittadino, 1) volete un servizio di qualità maggiore a prescindere dal costo? 2) Volete che le tariffe rimangano invariate a costo anche di sacrificare la qualita, 3) volete che i dividendi aziendali vengano reimpiegati in un progetto pilota per nuovo servizio ecc…? I voti ricevuti in risposta diventano vincolanti per il management aziendale.
2— Urbanistica in certi comuni svizzeri: se l’amministrazione deve fare un investimento, un’opera pubblica, per esempio una rotatoria, si indicono una serie di assemblee di cittadini o di referenda locali. Gli incontri servono ad accertare e far capire alla cittadinanza margini di fattibilità e alternative, e soprattutto verificare se c’è consenso o meno sull’opera.
3— Ma come promuovere il cambiamento amministrativo in Italia in senso di apertura al cittadino? Le strade ammesse sono tre: la più pesante è quello della riforma legislativa (un progetto comunque che potrebbe essere sostenuto dal M5S anche come forza di opposizione), modificare statuti e regolamenti interni dei vari enti, caso per caso, oppure, utilizzare la leva dei portavoce per alimentare di nuovi contenuti, i processi di pianificazione strategica all’interno dei Comuni.